La
crisi richiede velocità di azione
Di
Carlo Pelanda (27-10-2008)
La quantità
di brutte o buone notizie economiche nel prossimo futuro dipende dalla capacità
di gestione della crisi da parte dei governi e delle autorità monetarie.
Valutiamola.
Prima ricapitoliamo per vedere dove siamo. Due
diverse crisi si sono fuse, amplificandosi a vicenda a livello globale. Il
rialzo del prezzo del petrolio e dei beni alimentari dal 2005 in poi ha innescato
una tendenza recessiva, per la restrizione monetaria ed il drenaggio di
capitale, già alla fine del 2006. Nel 2007 il costo del denaro crescente ha
fatto esplodere la crisi finanziaria globale con epicentro in America. Questa,
nell’estate del 2008, si è trasformata in crisi bancaria ed in congelamento del
mercato finanziario. Le Borse sono crollate perché sono l’unico mercato in cui
chi ha bisogno di liquidità può ottenerla vendendo qualcosa. Ma la caduta dei
valori azionari, pur spettacolare, non deve preoccupare in quanto è un’anomalia
contingente. Il problema principale, invece, è che in America ed Europa la
crisi bancaria sta amplificando quella recessiva. Il resto del mondo è in
ginocchio per la caduta dell’export verso le recessive America ed Europa e/o
per la caduta dei prezzi delle materie prime. Siamo qui.
Cosa andrebbe fatto in America ed Europa per
accorciare e minimizzare la crisi? Tre cose, contemporaneamente e subito: (a)
taglio delle tasse su imprese e famiglie affinché le prime tengano
l’occupazione e le seconde aumentino i consumi; (b) riduzione ai minimi del
costo del denaro per fluidificare il credito e tagliare i costi dei
debiti/mutui; (c) dare alle banche il giusto capitale affinché lo immettano nel
mercato. In America ce ne è una quarta
prioritaria: interrompere la caduta del mercato immobiliare e far finire le
insolvenze dei mutui, il cui regime è diverso da quello in Europa. Come si
stanno comportando i governi e le Banche centrali? In America il costo del
denaro è minimo, gli stimoli fiscali forti e gli interventi diretti di spesa
pubblica d’emergenza pragmatici. Lì hanno mollato tutti i cordoni della borsa
e, probabilmente, l’economia statunitense sarà in grado di uscire dalla
recessione a metà del 2009. Tale scenario potrà essere confermato quando e se
il mercato immobiliare si riprenderà. Gli europei sono stati veloci nel salvare
le banche, sono lentissimi e perfino riluttanti nel tagliare le tasse, la Bce è sorprendentemente – per
il crollo del rischio di inflazione a 18 mesi - lenta nel tagliare i tassi.
Pertanto nell’eurozona la recessione/stagnazione durerà di più. L’Italia è
messa peggio di Francia e Germania perché l’enorme debito riduce lo spazio di
bilancio per abbassare le tasse o aumentare la spesa pubblica di sostegno. Per
questo ha l’assoluta necessità di un velocissimo taglio del costo del denaro e
della ripresa del credito. La Bce
taglierà, ma, si teme, poco e tardi. Le banche italiane dicono di non avere
problemi. Certamente non sono a rischio di fallimento, ma molte stanno
riducendo il credito. Ciò è prova che stanno usando i soldi per coprire perdite
o debiti e ne hanno di meno per i clienti. Quelle che hanno soldi, le più
“territoriali”, non riescono a colmare il vuoto lasciato da quelle in pur
relativa difficoltà. In conclusione, servono due azioni urgenti: (1) taglio
immediato dei tassi di almeno il 2%; (2) il governo entri con capitale
integrativo d’emergenza (20 miliardi già messi in riserva per lo scopo) nelle
banche che non vogliono svelare i loro problemi per paura che una
ricapitalizzazione cambi poteri degli azionisti ed i manager. Se ciò non verrà
fatto dovrò commentare notizie veramente brutte.
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